Consigli generali per preservare la salute degli occhi nella vita di tutti i giorni.

Make-up e occhi: i consigli per truccarsi in sicurezza

occhio e trucco

 

Truccarsi fa ormai parte dei gesti quotidiani di molte donne e le applicazioni di eyeliner, mascara e ombretti si eseguono in forma praticamente automatica. Le più veloci sono pronte in 5 minuti, le più metodiche si prendono più tempo per evitare qualsiasi imperfezione. Ma dietro quei gesti così attenti e precisi potrebbero celarsi, inconsapevolmente, delle cattive abitudini che alla lunga possono irritare i vostri occhi. Ecco quindi qualche utile consiglio per truccarsi in sicurezza, rispettando norme di igiene oculare e seguendo procedure idonee a salvaguardare l’occhio da irritazioni, lesioni o danni. Riportiamo alcuni consigli tratti dal volume “Occhio e Trucco” scritto dai dottori Lucio Buratto, Direttore Scientifico del Centro Ambrosiano Oftalmico e Christophe Buratto, medico chirurgo estetico e direttore della Clinica del Viso.

Applicazione della matita sulle palpebre

matita-nera-sotto-gli-occhiScegliere una matita con mina non eccessivamente morbida; non deve essere appuntita ma nemmeno spuntata.

Prima di ogni utilizzazione è sempre bene passarla nel temperamatite per eliminare lo strato superficiale che è stato precedentemente a contatto con gli occhi.

Evitare l’applicazione di matita sulla congiuntiva (la mucosa che ricopre il bulbo oculare e la parte interna delle palpebre) perché può essere fonte di irritazione e causa di congiuntivite, soprattutto nei portatori di lenti a contatto.

Mettere o no la matita all’interno della rima palpebrale sulla congiuntiva inferiore? In questi casi la risposta migliore è quella di usare sempre il kajal o, ancora meglio, il khol!

L’effetto ottenibile è indubbiamente di un trucco di ispirazione orientale vista la consuetudine delle donne indiane o arabe di applicare il kajal all’interno dell’occhio.

Kajal e khol

Sono un insieme di sostanze vegetali naturali con aggiunta di solfuro di antimonio (un minerale utilizzato dalle donne orientali fin dall’antichità per colorare le sopracciglia) con effetto fortemente disinfettante.
Il kajal è un prodotto molto antico e raro: veniva sempre conservato in boccettine molto preziose (ne sono state trovate in molte tombe egizie).
kajalIl kajal, quello orientale originale, è una che ha ha la duplice funzione di truccare e disinfettare.
Il kohl è una sorta di kajal compresso (sotto forma di matita) di più facile utilizzo. Il khol e il kajal possono essere applicati sia all’interno che all’esterno della palpebra.
Esso può essere applicato anche nel sacco congiuntivale dei neonati a scopo disinfettante e spesso anche per tutta la durata della vita in molti paesi arabi.

 

Applicazione del mascara (o rimmel)

trucco e occhio

Al termine dell’applicazione si consiglia di pettinare le ciglia con uno scovolino o uno spazzolino pulito nel loro verso naturale di crescita per eliminare eventuali eccessi e separare le ciglia.

Alla fine dell’uso pulire regolarmente lo spazzolino e chiudere sempre bene la confezione.

Evitare di allungare o diluire il mascara con acqua o altri prodotti, perché potreste recare danno agli occhi e/o alla pelle! Queste sostanze aggiunte arbitrariamente a una preparazione cosmetica non sono pure da un punto di vista microbiologico e non si conoscono le interazioni della nuova miscela ottenuta con la vostra pelle!

Evitare che il mascara entri in contatto con l’occhio e cambiare con frequenza la confezione.

Utilizzare i mascara waterproof soprattutto in estate ed in ambienti umidi, in modo che il prodotto, resistendo all’acqua, non causi irritazione agli occhi.

Struccare gli occhi.

Per pulire le palpebre utilizzare apposite salviettine monouso (Iridium garze), studiate per l’igiene palpebrale a base di prodotti naturali, molto indicate anche per gli occhi sensibili poiché consentono una buona pulizia con azione decongestionante e lenitiva.

Il fumo fa male. Anche agli occhi.

sigaretta

Che il fumo faccia male alla salute è ormai risaputo: ogni anno oltre 5 milioni di persone nel mondo muoiono per gli effetti di questo vizio.

Che il fumo faccia male agli occhi invece lo sanno in pochi, perché non se ne parla abbastanza. Che effetto farebbe sentirsi dire che il fumo, oltre che causare il cancro, potrebbe far perdere la vista?

Sembra un’affermazione assurda, esagerata, ma purtroppo può succedere.

Gli effetti negativi che il fumo può avere sulla vista non sono mai stati studiati approfonditamente, almeno fino a qualche anno fa, quando uscì una ricerca che esaminò gli effetti del tabacco sulla superficie degli occhi.

“Il fumo riduce il flusso sanguigno in generale – spiega il Dottor Lucio Buratto, Direttore Scientifico del Centro Ambrosiano Oftalmico di Milano – e questo causa alterazioni all’interno dei capillari degli occhi, in questo modo si riduce l’apporto di ossigeno e di altri oligoelementi agli occhi. Il fumo ha un effetto ossidante e di conseguenza favorisce l’insorgenza dei radicali liberi, i quali, oltre ad accelerare i fenomeni di invecchiamento dell’occhio, possono danneggiare i fotorecettori e, in generale, peggiorare le funzionalità delle cellule dei tessuti oculari”.

Chi fuma molto, oltre i due pacchetti di sigarette al giorno, e alza un po’ troppo il gomito, rischia inoltre di contrarre la neurite alcolico-tabagica, un’intossicazione delle vie ottiche che può portare a gravi deficit della vista e alla maculopatia senile, una patologia che insorge dopo i 50 anni di età e colpisce la parte centrale della retina, lasciando intatta la visione periferica.  E il rischio non arriva solo dal fumo diretto, ma secondo recenti studi anche quello passivo può causare la degenerazione maculare senile.

Chi fuma inoltre è soggetto a sviluppare la cataratta precoce, la retinopatia diabetica, il glaucoma e l’oftalmopatia di Graves, quest’ultima è un tipo di esoftalmo (una forma di protrusione del bulbo oculare) che nei casi più gravi comporta dolore intenso, ulcerazioni corneali e compressione del nervo ottico.

Il fumo può inoltre causare, se non peggiorare, la secchezza lacrimale, altrimenti conosciuta come occhio secco. Il fumo è un agente altamente irritante che può provocare prurito, bruciore e fastidio agli occhi: questi sono i tipici sintomi dell’occhio secco, più correttamente definito disfunzione da film lacrimale, quel sottile strato di lacrime che copre e idrata la cornea.

Nello studio prima citato sono stati messi a confronto occhi di fumatori e di non fumatori: nel primo caso la lacrimazione è risultata fortemente ridotta, mentre la superficie corneale presentava alcuni danni non riscontrabili negli occhi dei non fumatori.

E’ quindi ormai assodato e accertato che il fumo danneggia sensibilmente il film lacrimale e la superficie dei nostri occhi, oltre a causare importanti patologie oculari.

Basterà l’idea di peggiorare, se non di perdere, la vista per far smettere anche i più convinti con questo vizio assolutamente nocivo per la salute?

 

Foto by  Marius Mellebye

Il caffè fa bene o male agli occhi?

caffètrecaffè

Il caffè è una bevanda straordinaria, con una storia incredibile e un seguito che la pone tra i liquidi più consumati al mondo: è buono ( a chi piace), sveglia o comunque, essendo un eccitante, aiuta ad affrontare la giornata e in alcuni casi è efficace contro il mal di testa, senza contare il suo apporto alla vita sociale, vero collante di pause tra amici e colleghi, scusa per staccare dal lavoro o dallo studio o autentica chicca quotidiana per chi ama a dismisura questa bevanda.

Ma abusarne non fa bene, come per tutti gli alimenti in generale (anche bere troppa acqua può essere nocivo!).

Andiamo per ordine e cerchiamo di capire come stanno veramente le cose.

Iniziamo col dire che l’eccesso di caffeina (quindi il consumo oltre la terza tazzina quotidiana) può causare un’intossicazione a livello oculare. La caffeina (così come la nicotina) è un vasocostrittore che può, in caso di consumo eccessivo, causare delle turbe irrorative al nervo ottico. Le conseguenze possono essere anche cali sensibili della vista o deficit nel campo visivo.

Però, secondo un recente studio della Cornell University, negli Stati Uniti, il caffè, assunto nelle giuste dosi, può essere un valido aiutante per proteggere i nostri occhi, prevenendo ad esempio la degenerazione maculare senile e altre patologie legate all’invecchiamento, come la cataratta.

Il merito è dei polifenoli, potenti antiossidanti presenti nel caffè che limitano l’insorgenza dei radicali liberi, responsabili dell’invecchiamento delle cellule dei tessuti oculari. Ma che il caffè faccia bene alla salute non è notizia di questi giorni: studi precedenti hanno confermato il ruolo cruciale della caffeina per prevenire malattie come il morbo di Parkinson, il cancro alla prostata, il diabete e  il morbo di Alzheimer.

Nell’ambito della ricerca americana, è stato testato un composto del caffè, l’acido clorogenico (CLA),  su topi destinati a subire una degenerazione della retina.  Il risultato è stato incoraggiante: i topi a cui è stato somministrato questo estratto del caffè non hanno subito i previsti danni alla retina.

I ricercatori stanno quindi lavorando all’eventualità di creare un collirio con questo composto del caffè da instillare negli occhi per prevenire le malattie oculari.

Come detto, il caffè è salutare se assunto nelle giuste dosi. In caso di abuso, secondo gli esperti del Brigham and Women’s Hospital di Boston e della Harvard School of Public Health, il caffè potrebbe favorire il glaucoma, una grave patologia che insorge a causa dell’aumento della pressione del bulbo oculare. In particolare, alcune componenti del caffè causerebbe questo aumento di pressione.

Il glaucoma è una patologia multifattoriale, vale a dire causata da diversi fattori (tra i principali vi sono l’età, la predisposizione famigliare, preesistenti difetti di rifrazione e il diabete). All’inizio è asintomatico ma gradualmente causa la perdita delle cellule retiniche e comprometto il campo visivo.

Per cui, come detto già all’inizio di questo articolo, la moderazione è la giusta via: rinunciare al caffè è quasi impossibile, ma ci si può limitare non andando oltre le due-tre tazzine (non tazze!) di caffè al giorno. L’eccesso di caffeina infatti, oltre al glaucoma, può causare insonnia e aumento della pressione arteriosa.

Se proprio non riuscite a fare a meno del caffè, optate per quello decaffeinato o quello d’orzo!

 

 

 

 

Occhio secco: una delle patologie oculari più diffuse, e ignorate, del secolo

occhio secco

La sindrome della disfunzione del film lacrimale, più conosciuta come occhio secco o secchezza oculare, è una delle patologie oculari più diffuse e la cui incidenza è in continuo aumento.

L’uso scorretto di pc, tv e smartphone, ambienti di lavoro e privati male condizionati, l’uso esagerato o scorretto delle lenti a contatto o ancora l’aumento dello smog e dell’inquinamento delle città, senza contare l’allungamento della vita media delle persone, sono tra le principali cause di quello che molti pensano sia solo un fastidio momentaneo. E invece si tratta di una vera e propria malattia che certamente inizia come fastidio (o rossore, o bruciore) ma se non trattata tempestivamente può peggiorare in modo serio, mettendo a rischio, nei casi più gravi, anche la vista.

Nel Mondo oltre 100 milioni di persone soffrono di questo disturbo.

Si parla di disfunzione del film lacrimale perché secchezza oculare è riduttivo e identifica solo un aspetto di questa patologia, vale a dire la ridotta produzione di lacrime (detta anche ipolacrimia), mentre questa patologia  può essere causata anche da un’evaporazione eccessiva del film lacrimale: in quest’ultimo caso le lacrime non fanno in tempo a lubrificare la superficie oculare perché evaporano (si parla di dislacrimia); questo tipo di disfunzione del film lacrimale è quella più frequente (circa l’86% dei casi) ed è provocata dall’ostruzione o dal malfunzionamento delle ghiandole di Meibomio che si trovano nelle palpebre.

Queste ghiandole sono responsabili della produzione dello strato lipidico delle lacrime: se non funzionano correttamente, non riescono a secernere sufficiente “mebus”, la componente oleosa del nostro film lacrimale. Cosi le lacrime evaporano troppo in fretta. Uno strato lipidico insufficiente o assente può causare un’evaporazione lacrimale da 4 a 16 volte più rapida del normale.

La ridotta produzione lacrimale (ipolacrimia) invece si verifica quando le ghiandole lacrimali non creano una quantità sufficiente di soluzione acquosa in grado di mantenere l’umidità oculare.

L’occhio secco e le patologie correlate devono essere trattati in modo tempestivo e accurato, evitando approcci e prodotti fai da te.

I sintomi. L’occhio secco è una malattia a tutti gli effetti. Tra i suoi sintomi vi sono fastidio, bruciore, arrossamento degli occhi, alterazione della vista, sensazione di corpo estraneo negli occhi e anche fotofobia (la sensibilità alla luce). Anche il dolore è tra questi sintomi: non sono pochi i casi di pazienti affetti da questa patologia che hanno provato una reale sensazione di dolore.

Per capire se una persona è affetta da occhio secco basta un semplice test, ideato da un medico di New York che lo consiglia sempre ai suoi colleghi: date un giornale ad un paziente, se non legge bene gli istillate una goccia di collirio, se dopo aver messo qualche goccia di lacrima artificiale legge meglio e speditamente, ecco questo è un paziente che soffre di occhio secco.

Queste modificazioni della visione e i sintomi possono addirittura aumentare creando grosse difficoltà nelle attività di tutti i giorni.

Si crea così un circolo vizioso: il luogo di lavoro mal condizionato, l’ambiente di casa troppo secco, l’uso scorretto del computer, una dieta non bilanciata, squilibri ormonali causano secchezza oculare e chi ha questo disturbo fatica a lavorare sul computer, a leggere, guidare, o solo guardare un film.
E con il trascorrere delle ore della giornata lavorativa, i sintomi si accentuano, impedendo di fatto le nostre normali attività.

I fattori di rischio. Le infiammazioni croniche della superficie anteriore dell’occhio, le congiuntiviti allergiche, le blefariti croniche, le pregresse infezioni erpetiche (causate cioè da Herpes), gli squilibri ormonali, le malattie metaboliche, gli usi ed  abusi di lenti a contatto e di cosmetici giocano sicuramente un ruolo importante. Anche l’ambiente in cui viviamo e lavoriamo è fondamentale: un condizionamento scorretto può infatti causare secchezza oculare.
A questo si aggiungono le nostre cattive abitudini come la “dipendenza” dai computer, tablet e smarthphone. La colpa non è di questi device, ma dal loro abuso: usarli per troppe ore durante il giorno e a distanza troppo ravvicinata può non solo causare problemi alla vista, ma alterare sensibilmente la produzione di film lacrimale.
Tutta questa serie di fattori costituiscono la base su cui una semplice secchezza oculare evolve tendendo, con un meccanismo a cascata, a coinvolgere tutta la superficie oculare, le ghiandole lacrimali, le ghiandole del Meibomio e tutta la finissima rete di recettori e terminazioni microscopiche nervose corneali e congiuntivali.
Le modificazioni quantitative e qualitative del nostro film lacrimale possono arrivare a danneggiare tutto il segmento anteriore dell’occhio creando gravi deficit visivi.

La cornea è la parte dell’occhio che rischia di più e subisce più danni. Fin dai primi sintomi di occhio secco infatti si riscontrano sofferenze dell’epitelio corneale (lo strato più superficiale della cornea). Questo strato di sottili “piastrelle” si altera, perde pezzi, si creano allora degli spazi vuoti e attraverso questi spazi si creano scompensi metabolici tra le due pareti corneali: l’esterna bagnata dalle lacrime e l’interna occupata dall’umor acqueo (il liquido salino che si trova tra la cornea e il cristallino, la lente naturale dell’occhio e che serve per dare volume al bulbo oculare).

Cura e diagnosi.  La diagnosi di occhio secco va sempre fatta dal medico oculista con test sofisticati ed affidabili, evitando quindi auto diagnosi e cure dai da te. Il medico oculista valuterà una serie di parametri ed insieme al paziente sceglierà il sostituto lacrimale e la terapia giusta per il caso specifico.
Non tutte le lacrime artificiali sono uguali, infatti, come non lo sono i pazienti. E tantomeno gli occhi. Con le moderne tecniche e strumentazioni è oggi possibile trattare in modo efficace questa patologia.

Consigli. La disfunzione del film lacrimale è una malattia seria ed ingravescente che va affrontata e trattata con sempre maggiore serietà e professionalità. Ma già cambiando le proprie abitudini si possono fare notevoli passi avanti. A cominciare dalla dieta: bere molta acqua e mangiare più frutta e verdura aumenta l’idratazione generale dell’organismo, aumentando di conseguenza la produzione lacrimale.
Controllare inoltre l’umidità dell’aria negli ambienti dove viviamo, dormiamo e lavoriamo è fondamentale, soprattutto in presenza di bambini ed anziani. Per quanto riguarda l’uso di device elettronici, è bene limitarlo nel tempo e tenere questi strumenti alla giusta distanza, almeno 30 centimetri dal viso.

Il Centro Ambrosiano Oftalmico è specializzato nella cura di questa patologia: con strumentazioni d’avanguardia e terapie personalizzate è in grado di fornire cure efficaci e, soprattutto, di seguire il paziente costantemente durante tutto il periodo di trattamento.

 

Foto by Lucky Linda

 

Usiamo troppo il telefonino. A rischio la vista, soprattutto nei bambini.

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 Un terzo della giornata lo passiamo con il telefonino in mano. E gli occhi attaccati allo schermo. Secondo un recente studio della Lancaster University pubblicato sulla rivista Plos One, passiamo più di 5 ore al giorno e lo controlliamo ben 85 volte nell’arco della giornata!  Ma la cosa, se possibile, ancora più scioccante, è che non ce ne accorgiamo.

Si tratta al momento di uno studio di piccole proporzioni, condotto su alcune decine di persone con un’età compresa tra i 18 e i 33 anni, ma i risultati sono senza dubbio significativi.

Questo distacco tra vita reale e normale, infatti, non mette a rischio solo le nostre relazioni sociali, ma anche la nostra vista!

“Oltre a nuocere ai rapporti interpersonali – ha commentato il dottor Lucio Buratto, direttore scientifico del Centro Ambrosiano Oftalmico – passare così tanto tempo davanti allo schermo di uno smartphone o strumenti elettronici simili può essere nocivo per i nostri occhi. E a rischiare di più sono coloro che iniziano a usare questi device troppo presto, i bambini e i giovani in generale. Se fino a poco tempo fa il problema erano le troppe ore passate davanti alla tv a guardare cartoni animati o giocare ai videogiochi, perché ciò limitava la loro capacità di relazionarsi con il mondo esterno, oggi si aggiunge un’altra problematica: i device elettronici, il cui abuso oltre a peggiorare i rapporti interpersonali può comportare seri danni alla vista dei bambini”.

Il problema infatti è proprio l’abuso. L’American Academy od Pediatrics ha recentemente affermato che l’esposizione a device come ipad e telefonini non nuocerebbe ai bambini sotto i due anni, cambiando di fatto la propria posizione che fino a qualche anno fa si esprimeva in senso contrario, raccomandando un divieto assoluto per i bambini fino a 24 mesi di esporsi a questi device (e dopo i due anni solo per massimo due ore al giorno). Oggi queste linee guida sono cambiate, per stare al passo con i tempi e anche perché, come spiegano esponenti dell’associazione, i device di oggi sono più adatti a un giovane pubblico, con app dedicate e in certi casi anche didattiche.

“Il problema però non sono i contenuti – ribadisce il dottor Buratto – ma l’esposizione eccessiva e in posizione errata, che può comportare seri danni alla vista”.

Quattro bambini su dieci, che usano abitualmente device elettronici, rischiano infatti di sviluppare la miopia. Utilizzando così spesso gli smartphone, a distanza ravvicinata (spesso al di sotto dei raccomandati 30 centimetri) i bambini sviluppano molto bene la vista da vicino a discapito di quella per lontano, forzando di fatto l’occhio a comportarsi da miopie.  Questo rischio aumenta anche considerando quanto poco i bambini giochino o passino tempo all’aria aperta, attività fondamentale per sviluppare la vista da lontano.

In Asia, dove il fenomeno è molto più evidente e l’incidenza della miopia tocca in alcuni casi l’80% della popolazione giovane, si stanno sperimentando diverse tecniche per permettere di sviluppare la vista da lontano: classi con pareti trasparenti e lezioni svolte all’aperto, per esempio.

“Non è corretto stigmatizzare gli smartphone – prosegue il dottor Buratto – il problema non è il telefonino, ma l’uso, o forse sarebbe più corretto parlare di abuso, che se ne fa. Siamo diventati troppo dipendenti da questo apparecchio che non serve più solo a telefonare ma ci permette di stare connessi 24 ore su 24 con tutto il mondo. Un’opportunità che affascina tutti, soprattutto i più piccoli, molti dei quali non sperimentano più osperimentano troppo poco il gioco vero, quello all’aperto, quello che li mette in relazione con gli altri bambini, ma preferiscono isolarsi e relazionarsi con questi mezzi elettronici. Basterebbe limitare l’uso durante la giornata e soprattutto tenere lo smartphone a distanza “di sicurezza”, vale a dire a 30 centimetri dal volto. Questa regola vale per qualsiasi device, anche i monitor dei pc”.

Foto by tinkerbrad 

Prevenire la cataratta? Si può…con la luteina!

 

broccoli

Assumere luteina nella giusta quantità può ridurre del 60% l’insorgenza della cataratta nell’età adulta. Lo sapevate?

A dirlo è uno studio del gruppo Beaver Dam che non fa che confermare l’importanza della luteina, un potente antiossidante presente nella macula e nel cristallino, la lente naturale dell’occhio che, con l’età, inizia ad opacizzarsi aprendo la strada all’insorgenza della cataratta. Per questo motivo  è molto impiegata per prevenire non solo la cataratta ma anche la maculopatia.

Come si fa ad assumere più luteina? A tavola, naturalmente. Introducendo gli alimenti che ne sono ricchi come  spinaci, cavoli, lattuga, broccoli, peperoni, kiwi, albicocche, per citarne solo alcuni.

Una delle cause dell’insorgenza della cataratta, infatti,  è il danno ossidativo prodotto dal particolare metabolismo del glucosio nel cristallino.  Per questo è fondamentale apportare un giusto livello di antiossidanti nella dieta quotidiana. 

Ma a prevenire questa patologie aiutano anche altri fattori nutrizionali.

Vitamina C: è presente nel cristallino, quindi è fondamentale consumare alimenti che la contengono, come agrumi, pomodori e kiwi, tra gli altri. 

Vitamina E: l’assunzione con la dieta di questa vitamina in elevate quantità è stata collegata con una diminuzione del rischio di cataratta del 42% (cibi con vitamina E sono soprattutto i cereali interi, legumi in genere, verdure a foglia verde ).

Vitamina A: lo studio Lens Opacities Case- Control ha provato una diminuzione del 55% delle opacità corticali e del 40% di quelle miste in chi assumeva vitamina A (cibi con vitamina A sono il latte, le uova e il fegato).

Anche l’assunzione di multivitaminici ha una correlazione favorevole. Nel Nurses’ Health Study un gruppo di infermiere è stata studiata per 8 anni: l’assunzione con la dieta di carotenoidi totali è stata associata con un 27% di riduzione del rischio di cataratta.
Da questi dati appare evidente il ruolo che l’alimentazione ha sulla prevenzione o riduzione nella comparsa di questa patologie oculare.

Qui di seguito trovate una tabella, estratta dal volume “Occhio e Ricette per la Vista” scritto dal dottor Lucio Buratto, direttore del Centro Ambrosiano Oftalmico, che riporta la lista dei principali alimenti dove è possibile trovare questi preziosi fattori nutrizionali.

 

 

tabella alimentazione

Nutrigenomica: può l’alimentazione curare le malattie, anche quelle oculari?

nutrigenomica

Parliamo spesso di quanto una buona alimentazione possa aiutare a prevenire molte malattie, anche quelle degli occhi.

In questo articolo affrontiamo il delicato tema della nutrigenomica, la scienza deputata a studiare le interazioni fra geni specifici e nutrienti, secondo la quale le conseguenze del nostro stile alimentare dipendono dal profilo genetico, specifico di ogni individuo, ma anche l’avverarsi del destino trascritto nei geni può essere, a sua volta, rallentato o anticipato dallo stile alimentare.

Esistono quindi predisposizioni razziali, etniche e familiari, nella risposta a determinati nutrienti e ciò spiega perché le risposte cliniche, ad esempio alla soia, siano notevolmente diverse nelle donne indiane rispetto alle donne europee.

La nutrigenomica con lo studio dei polimorfismi (piccole, ma effettive, differenze nella sequenza amminoacidica dei geni) fornisce spiegazioni plausibili sulla diversa efficacia clinica di prodotti legittimati, peraltro, da studi e casistiche non casuali.

Ad esempio, un polimorfismo nel gene dell’angiotensina (ormone che stimola la vasocostrizione aumentando la pressione del sangue) potrebbe spiegare la diversa risposta degli ipertesi alle diete ricche di fibre alimentari, oppure altri polimorfismi giustificano il fatto che l’acido folico riduca l’incidenza del tumore del colon in alcuni studi, ma non in altri, condotti su gruppi etnici con abitudine alimentari diverse.

Questi sono soltanto due esempi del fatto ben noto che alcune precauzioni alimentari si sono confermate utili nella prevenzione dei tumori in determinati studi, ma non in altri!

Oggi sappiamo che i geni del singolo individuo sono coinvolti nella risposta alla presunta componente, benefica o dannosa, di un cibo: il problema diventa ben più complesso quando ci sono interferenze-interazioni con altri cibi.

Forse si potrebbe fare un accostamento con quanto già accade con l’indice glicemico di un cibo testato in laboratorio e quello che invece è l’effetto dello stesso cibo inglobato in un pasto completo con la sovrapposizione e le interferenze di altri alimenti e delle variabili digestive!

I progressi della nutrigenomica ci porteranno a comprendere in che modo un alimento, o meglio un particolare stile alimentare, interferisce nel funzionamento dell’organismo a livello molecolare; tutto ciò ha però, fin da ora, i suoi possibili risvolti commerciali e mistificatori.

Alcune aziende, non soltanto americane, hanno puntato sul business ed hanno già realizzato kit nutrigenomici, cioè dei questionari e un’analisi del DNA che per il momento non giustificano le diete formulate e suggerite in cambio di qualche centinaio di dollari.

Come ha specificato Gregory Kutz, Direttore della sezione Special Investigations del GAO (US Government Accountability Offi ce), si tratta di predizioni senza alcun valore medico e scientifico e così ambigue nella formulazione che in realtà non forniscono alcuna informazione al consumatore che paga cifre importanti praticamente per nulla.

Per capire a che punto siamo nello sviluppo e nell’applicazione della nutrigenomica, vale citare il paragone proposto da Josè M. Ordovas, direttore del Genomics Laboratory della Tufts University di Boston: “In termini di potenziale sviluppo delle nostre conoscenze oggi siamo al punto in cui eravamo nel 1980 nel campo dei computer. Giocavamo a quella specie di ping pong lentissimo su computer,lenti e primitivi,e guardate dove siamo oggi!».

Per ora la nutrigenomica è un fatto culturale in divenire che tuttavia i clinici della nutrizione non devono sottovalutare, ma semmai approfondire per prepararsi ad utilizzarlo quando i tempi saranno maturi, ma anche per avvicinarsi fin d’ora, consapevolmente e senza preclusioni concettuali, al nuovo mondo dei functional food e delle diete sempre più personalizzate. Rappresentando l’alimentazione una necessità quotidiana, la nutrigenomica potrebbe costituire una sorta di terapia «continuativa» utilizzabile per tutta la vita, senza i rischi di tossicità concettualmente intrinseci all’impiego dei «farmaci».

Ad esempio, per prevenire patologie oculari, si potrebbe autorizzare un diverso impiego preventivo di quelle vitamine che aiutano molto nella prevenzione, assumendole direttamente con i cibi che le contengono o per addizione (nutraceutical food): dalla vitamina A al β-carotene, alla vitamina E, alla vitamina B2, alla vitamina C, agli ω-3, alla luteina ecc

Per iniziare con un’alimentazione corretta e utile per i nostri occhi, in attesa che la nutrigenomica si sviluppi, potete seguire i nostri consigli della nostra rubrica “Mangiare per gli occhi”: ogni settimana pubblichiamo una ricetta diversa con preziosi nutrienti per la salute dei nostri occhi!

Questo articolo riprende quanto scritto da Eugenio Del Toma, Primario Emerito di Dietologia e Diabetologia e Specialista in Scienza dell’Alimentazione e in Gastroenterologia che ha collaborato alla stesura del libro “Occhio e Ricette per la vista” (FGE Editore) redatto in collaborazione con Lucio Buratto, Direttore del Centro Ambrosiano Oftalmico (CAMO).

Per chi volesse approfondire può acquistare il volume a questo link

I puntatori Laser non sono giocattoli!

puntatore laser

E’ di questi giorni la notizia per cui a Bologna sono stati sequestrati oltre 200 puntatori laser destinati alla vendita, perché mancanti dei requisiti di sicurezza necessari. Tre bambini hanno riportato gravi danni alla vista: uno di loro è rimasto cieco da un occhio, gli altri due presentano gravi lesioni alla retina.

La denuncia è arrivata dal dipartimento di Oftalmologia dell’Ospedale di Sant’Orsola dove erano stati portati i bambini in urgenza. La Procura di Bologna sta indagando contro ignoti per il reato di lesioni colpose e i carabinieri del Nas (Nucleo Antisofisticazioni e Sanità) stanno sequestrando puntatori in tutta Italia.

Tutto questo ha causato comprensibilmente allarme tra i genitori e non solo che in questi puntatori fino ad oggi hanno visto, erroneamente, degli innocui giochi di luce.

Sono davvero pericolosi i puntatori laser?

“Un conto sono i puntatori professionali, usati durante le presentazioni – afferma Lucio Buratto, Direttore Scientifico del Centro Ambrosiano Oftalmico di Milano –  o durante le lezioni all’Università. Sono infatti laser a luce rossa che solitamente non danno problemi, anche perché comunque usati da adulti che sanno cosa hanno in mano. I laser sequestrati a Bologna invece emettono luce verde a lunghezza d’onda più corta, una luce molto dannosa per la retina

Ma il Laser cos’è esattamente? “E’ una luce coerente – afferma Buratto – nel senso che, a differenza di qualsiasi altra sorgente luminosa che se proiettata nello spazio, si diffonde, il laser invece rimane un fascio unico che tende all’infinito”.

E quando questo laser è a lunghezza d’onda corta, come il laser verde di questi puntatori “giocattolo”, può danneggiare seriamente e irreversibilmente gli occhi.

Nello specifico, la diagnosi per questi tre bambini è stata di “maculopatia fototossica”.

Che questi puntatori siano pericolosi è risaputo e per questo non dovrebbero essere venduti così liberamente e senza nessun controllo di conformità. Nello specifico questi puntatori sono stati comprati presso bancarelle, un fatto che testimonia quanto purtroppo sia semplice acquistarli.

Bisogna informare di più, soprattutto i genitori – sottolinea Buratto – perché basta davvero un attimo, basta puntare per un secondo il raggio negli occhi per provocare danni inimmaginabili agli occhi. Questi laser provocano danni gravi soprattutto alla macula, la parte centrale della retina dove sono concentrati il maggior numero dei fotorecettori, quelle cellule deputate alla visione, cioè a ricevere gli impulsi luminosi ed a trasformarli in segnali elettrici da inviare al cervello”.

E’ di qualche tempo fa un incidente grave che avvenne in una discoteca russa, nella regione di Vladimir (a circa 20 km da Mosca): oltre trenta persone subirono gravi danni alla retina.

La colpa fu, a quanto pare, di un’errata quanto superficiale gestione di questi grandi puntatori laser usati normalmente per uno show in cielo, verso cui vanno sempre e solo puntati. Ma invece di solcare il cielo furono puntati sul pubblico.

Il laser non è un giocattolo – ribadisce Buratto – ma uno strumento di lavoro e di cura. Nell’oculistica viene usato quotidianamente in tutto il mondo per correggere difetti visivi come miopia, ipermetropia e astigmatismo e la versione a Femtosecondi è utilizzata addirittura per patologie come la cataratta e la presbiopia. E’ una tecnologia indispensabile per la medicina, ma se usata in modo improprio, al di fuori dell’ambito medico e professionale, può causare danni molto gravi”.

 

Genitori, nonni, educatori, state quindi attenti. Niente Laser ai bambini. Ci sono molti altri giocattoli tra cui scegliere!

 

Foto by Andrew “FastLizard4” Adams

Quando portare i bambini dall’oculista? Il più presto possibile!

visite bimbi

Avete portato i vostri bambini dall’oculista? Se sì, quando è stata l’ultima volta?

Purtroppo in Italia si fa fatica a far comprendere ai genitori l’importanza della prima visita oculistica e dei controlli periodici che vanno fatti anche se il bambino sembra vederci bene.
Forse qualche numero può aiutarci a capire la dimensione del problema: in Italia sono circa due milioni e mezzo i bambini tra i tre e i dieci anni che soffrono di disturbi agli occhi, arrossamenti e frequenti mal di testa causati dai difetti visivi, riscontrati soprattutto durante le ore scolastiche. Almeno un milione e mezzo di loro non si è mai sottoposto ad una visita oculistica.
La prevenzione è fondamentale e se queste visite vengono fatte nei primissimi anni di vita o meglio nei primi mesi ci sono alte probabilità di correggere o curare per tempo eventuali patologie che, se individuate tardi, non sono più curabili.

Ad esempio, la presenza di una cataratta congenita ha buone possibilità di essere curata se individuata molto presto. Allo stesso modo lo strabismo, oltre che rappresentare un deficit visivo, può in realtà celare altre patologie molto più gravi. Se preso per tempo, si può intervenire e curare senza dover operare chirurgicamente.
Allo stesso modo, l’ambliopia, detto anche “occhio pigro”, se intercettata entro i primi anni di vita si può trattare e risolvere. Se ci si accorge di avere questo problema in età adolescenziale o adulta, non si potrà più correggere.

“Il problema è che è estremamente difficile capire se un bambino ci vede bene – spiega il dottor Lucio Buratto, fondatore di Camo, Centro Ambrosiano Oftalmico di Milano –  il suo mondo, a quell’età, è tutto da vicino, per lui è importante visualizzare il giocattolo che ha di fronte e non fa caso se non vede da lontano, per cui non lo comunica. Ecco perché è fondamentale fare delle visite oculistiche fin dai primi mesi o perlomeno entro il primo anno di età.”

Quindi, quando è opportuno far visitare i bambini dal vostro oculista?
Appena nato il bambino è sottoposto a una visita oculistica già in ospedale grazie alla quale si controlla l’eventuale presenza di malformazioni o patologie congenite o di infezioni conseguenti al parto. Durante la prima ispezione l’oculista controlla la morfologia del globo oculare e degli annessi, il riflesso rosso dell’occhio e la motilità dello stesso.
Successivamente, occorre recarsi dall’oculista in modo periodico. Sono importanti le visite entro il primo anno di età e successivamente, se non sono riscontrati problemi visivi di alcun tipo, è utile sottoporre a ulteriori controlli a 3 e a 4 anni. La visita successiva, sempre in condizioni di vista normale, si potrà poi fare a 6 anni.

In cosa consistono queste prime visite?
La visita del primo anno è utile per capire la coordinazione e il movimento oculare degli occhi del bambino. Un’alterazione della coordinazione può essere il primo campanello d’allarme di una differente percezione della visione tra i due occhi. Per accertarsi che il cristallino, la lente naturale dell’occhio, sia del tutto trasparente e funzionante viene l’oculista esegue il test del riflesso rosso, servendosi di uno strumento chiamato oftalmoscopio; questo test solitamente si esegue anche nei primissimi giorni di vita del piccolo. La prova del riflesso rosso è essenziale per il precoce riconoscimento di situazioni che potenzialmente possono mettere in pericolo la visione o la vita, come la cataratta, il glaucoma, il retinoblastoma, le anomalie retiniche, le malattie sistemiche con manifestazioni oculari e forti errori di rifrazione.
Una colorazione rossa ed uniforme della pupilla è un buon indice di trasparenza dei mezzi diottrici (cornea e cristallino). In seguito sono eseguiti altri esami per rilevare eventuali deficit visivi. Per farlo potrebbe essere necessario dilatare la pupilla con appositi colliri.

Nella visita dei tre anni si ripetono gli esami della prima visita e in questa sede l’oculista ha la possibilità di analizzare meglio le strutture dell’occhio e capire se il bambino dovrà portare occhiali da vista.
A quattro anni d’età, il bambino è più consapevole e comunica meglio, aiutando quindi l’oculista a capire l’eventuale presenza di deficit visivi. Inoltre la maggiore attenzione del piccolo permette di valutare la capacità visiva utilizzando delle tavole di lettura (ottotipi) studiati per i bambini. In queste tavole ci sono disegni molto semplici, posti in dimensioni sempre più piccole. L’esame della vista viene eseguito sui due occhi separatamente.

In ogni caso i genitori devono prestare sempre grande attenzione al bambino per individuare eventuali comportamenti che indichino la presenza di qualche anomalia della vista.
Ecco alcuni atteggiamenti da tenere sotto controllo:

  • Se strizza continuamente gli occhi
  • Se chiude uno dei due occhi quando si rivolge verso la luce
  • Se inclina o ruota la testa in modo inconsueto per vedere bene le cose
  • Se ha spesso gli occhi arrossati
  • Se si sfrega gli occhi in continuazione
  • Se lacrima in modo eccessivo

In presenza di uno o più di questi atteggiamenti o sintomi, è bene andare quanto prima dall’oculista.

Inoltre, è bene parlare con il bambino, quando è in età di relazionarsi e farsi capire, e farsi dire come vede gli oggetti, come li riconosce, se li sa individuare nello spazio.
Infine, se al piccolo saranno prescritti degli occhiali, sarà bene farglieli indossare sempre e non saltuariamente. Questi ausili permetteranno di correggere difetti come l’ambliopia, ma se non vengono utilizzati costantemente il difetto non potrà che peggiorare e dopo i 3-4 anni di età non sarà più correggibile.

Occhi e immersioni: cosa succede sott’acqua alla vista?

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Negli ultimi anni l’attività subacquea è sempre più di moda: sono sempre più numerosi i sub che visitano con muta e bombole o senza bombole i parchi marini e i fondali dei nostri mari e oceani.
Cosa succede quando aprite gli occhi sott’acqua? La cornea è abituata a stare a contatto con l’aria, quest’ultima all’improvviso viene sostituita dall’acqua…il risultato è la tipica vista offuscata: l’occhio in questa situazione si comporta come un occhio affetto da ipermetropia elevatissima (circa 42 diottrie)!

Questa situazione è correggibile con il semplice artificio di interporre nuovamente aria fra acqua e occhio, così da annullare questa ipermetropia indotta: basta usare gli appositi occhialini per il nuoto superficiale oppure maschere adatte che possono essere dotate di lenti correttive, il cui potere è ricalcolato in relazione alla tipologia ed entità del difetto refrattivo.
Con la profondità avvengono altri cambiamenti nella nostra vista: la luminosità diminuisce rapidamente, poiché la luce viene filtrata dall’acqua: a 5 metri si ha solamente il 25 % residuo della luce di superficie e a 40 metri il 2-3%. In pratica si è al buio!
I colori spariscono rapidamente, sia perché la ridotta intensità luminosa chiama in azione i bastoncelli della retina incapaci di percepire i colori, sia perché l’acqua assorbe le radiazioni in maniera selettiva: il rosso è il primo a sparire verso una profondità di 5-10 metri, il giallo tra 15-25 metri, il verde sparisce al di là di 60 metri, il blu può arrivare fino a 400 metri; prima dell’estinzione assoluta della luce, tutto diventa grigio – verdastro.
Anche la visione del contrasto, con l’aumentare della profondità, è perturbata e si riduce in quanto il diffondersi della luce sulle particelle in sospensione genera una nebulosità diffusa.
Inoltre la maschera riduce il campo visivo a 90°-100° contro i normali 170°-180° e perciò il subacqueo, che ha necessità di poter esplorare bene l’ambiente, è obbligato a girare la testa per individuare gli oggetti, contrastare i pericoli, controllare gli strumenti ed il suo equipaggiamento.
Quanto più ridotti sono il volume interno della maschera e la distanza occhio-lente, tanto più migliora il campo visivo.

Il sub che indossa la maschera vede più ingrandito di circa un terzo e più ravvicinato del 25%: lo
squalo gigante che lo ha sfiorato…forse era qualcosa di diverso.

divingE’ da ricordare che in immersione l’acutezza visiva deve essere conservata molto efficiente anche da vicino, per poter leggere le tabelle di decompressione e i dati del manometro.
Per chi ha problemi di vista più importanti, si possono inserire nella maschera lenti correttive non progressive o usare lenti a contatto, pratica che esige fortemente la protezione della maschera.
Esistono controindicazioni mediche alla immersione subacquea, raccomandate da associazioni di oculisti, da confederazioni sportive, da organizzazioni pubbliche. Comprendono, con qualche differenza, diverse patologie oculari suddivise in:
temporanee: includono le affezioni oculari acute non trattate e le varie chirurgie; negli interventi a bulbo oculare chiuso è bene astenersi da questa attività per almeno due-quattro settimane; se a bulbo aperto, da 1 a 8 mesi, a seconda dell’intervento; particolare cautela negli interventi del segmento posteriore, soprattutto se nella chirurgia per distacco di retina è stato immesso gas all’interno dell’occhio.
permanenti: interessano le importanti patologie vascolari della retina, i portatori di protesi antiglaucomatose, i cheratoconi con minaccia di perforazione, le alterazioni gravi del campo visivo.

Nel corso di attività subacquea possono accadere fenomeni patologici, di tipo baro-traumatico e da decompressione. Com’è noto, il volume di un gas è inversamente proporzionale alla pressione esercitata su di esso e il loro prodotto è una costante (legge di Mariotte), per cui, in acqua, dato che la pressione sottomarina aumenta con la profondità, il volume dei gas contenuti all’interno del corpo (e della maschera) diminuiscono.
Le variazioni di pressione più importanti e più pericolose per l’organismo avvengono tra 0 e 10 metri.
Nella discesa la pressione interna della maschera deve essere riequilibrata: la mancata compensazione trasforma la maschera in una ventosa che risucchia gli elementi contenuti in essa (occhi, vasi del naso, cute del viso): il “colpo di ventosa” può provocare la comparsa di edema palpebrale e congiuntivale, emorragie sottocongiuntivali e retiniche, emorragie nasali; inconvenienti non gravi, che sono prevenuti riequilibrando la pressione, soffiando regolarmente con il naso all’interno della maschera.
All’opposto sono possibili incidenti da decompressione per risalite troppo rapide: embolie da bolle gassose d’azoto possono portare soprattutto a danni neurologici e vascolari con comparsa di diplopia, alterazioni del campo visivo, occlusioni dell’arteria centrale della retina, danni al nervo ottico e altre complicanze talora assai gravi.
Altri incidenti minori (cheratiti puntate superficiali con occhi arrossati, lacrimosi) vengono segnalati a causa di una supposta tossicità dell’ossigeno iperbarico e per l’uso di prodotti anti-appannamento sulla maschera venuti a contatto con l’occhio e che talvolta si rivelano tossici.
Gli occhialini sono sconsigliati nelle immersioni in profondità in quanto la piccola quantità d’aria contenuta in essi non permette la compensazione: infatti più ci si allontana dalla superficie più l’aria si comprime creando una condizione di sottovuoto che può danneggiare l’occhio; invece, usando la “maschera” da immersione che include anche il naso, si permette in genere la compensazione del volume d’aria contenuta in essa attraverso l’aria espirata dal naso.

 

Foto by Ilse Reijs and Jan-Noud Hutten